Dalla scala di Giacobbe alle nozze di Cana e ritorno

 

Stanley L. Jaki

(traduzione italiana di Antonio Colombo e Beniamino Danese)

 

 

 

A nessuno sposalizio è mai toccato un onore così grande come a quello che fu celebrato a Cana. Eppure sono sconosciuti i nomi della coppia di giovani che fu onorata dalla presenza di Dio Incarnato. Essi furono inoltre onorati dalla presenza di Maria, a cui si deve l’Incarnazione e anche il fatto che quel matrimonio vide accadere un evento davvero straordinario, al quale il nome di quel piccolo villaggio è legato per sempre.

          Molto significativi sono i particolari su quel matrimonio riportati nel Vangelo di San Giovanni, l’unica fonte di informazione che abbiamo in proposito. Per esempio sono ricordate sei grandi giare di pietra. Nessuna di esse è ancora conservata sul posto. Ma la piccola chiesa, costruita secoli dopo a Cana, e da allora più volte ricostruita, suggerisce certamente al visitatore moderno che i Cristiani ricordano con molta devozione l’evento che ebbe luogo a Cana duemila anni fa.

          La nostra epoca materialistica può essere particolarmente incuriosita dalla quantità d’acqua, circa cinque ettolitri, che fu trasformata in vino in una frazione di secondo. Solo i servitori furono testimoni dell’accaduto. Il maestro di tavola si limitò a constatare che fino a quel momento non era stata servita nemmeno una goccia di quel vino, da lui giudicato di qualità eccellente. Ma, come capitò anche in altre occasioni, Gesù fece in modo che i suoi miracoli fossero realmente notati solo da coloro per i quali egli aveva pensato di operarli. In questo caso si trattava dei suoi cinque apostoli, da poco reclutati, ovvero Andrea, Giovanni, Pietro, Filippo e Natanaele. In quest’ordine essi si erano uniti a Gesù tre o quattro giorni prima. Come uno di loro, Giovanni, ricordò, nel vedere l’acqua miracolosamente trasformata in vino, essi credettero in Gesù.

          Per quel che riguarda la quantità dell’acqua trasformata in vino, non c’è motivo di incertezza, perché, come annotato dallo stesso Giovanni, ognuno di quei contenitori in pietra poteva contenere due o tre misure d’acqua. E poiché ogni misura corrispondeva a circa quaranta litri, è facile stimare la capacità totale delle sei giare.

          Se ad ognuno dei convitati fu data almeno una coppa di quel vino, è facile calcolare che dovevano essere in parecchie centinaia. A questo numero si può arrivare anche dal fatto che si usava invitare a uno sposalizio quasi tutti gli abitanti dei villaggi circostanti. Infatti quasi tutti erano secondi o terzi cugini fra loro nel circondario. Un’immagine realistica dei matrimoni di villaggio in quel tempo e luogo la si può ricavare dal dipinto “Kermesse”, di Bruegel, il pittore olandese del XVI secolo. Basta sostituire i vestiti dai colori vivaci degli uomini con lunghi mantelli bianchi. A parte questo, molto simili devono essere state le attività. Tra queste, qualche pecora che veniva arrostita, e il cui profumo fragrante si diffondeva tutt’intorno.

          Le immediate vicinanze del villaggio, che si trovava alle pendici nord di una collina, non erano così brulle come al giorno d’oggi, ma non erano neppure di un verde lussureggiante. Non c’era un lago nei pressi, neppure qualche ruscello, e di sicuro nessun fiume. Se anche il Giordano fosse stato nelle vicinanze, lo sposalizio non sarebbe stato celebrato sulle sue rive, per quanto la cosa potesse risultare attraente, in quel clima caldo e secco. Il matrimonio doveva avvenire vicino alle case delle famiglie della sposa e dello sposo. La sposa veniva condotta dall’una all’altra casa, e la presenza delle rispettive famiglie in questa cerimonia conferiva ufficialità al matrimonio.

          Con la sua presenza al matrimonio, Gesù introdusse un grande cambiamento. Il matrimonio cristiano non doveva più essere solo una faccenda che riguardava le due famiglie, ma una faccenda della nuova grande famiglia, composta da innumerevoli focolari, una famiglia nota come la Chiesa. Non è per caso che il matrimonio di Cana è divenuto l’archetipo del matrimonio cristiano. È in parte poiché Maria era presente al fianco di Gesù, e in parte perché ciò che successe, successe per iniziativa di Maria, che nel Concilio Vaticano II Papa Paolo VI proclamò Maria “Madre della Chiesa”.

          Come leggiamo nel Vangelo, fu proprio Maria a richiamare l’attenzione di suo Figlio al fatto che il vino stava finendo. Anche qui, come altrove nel Vangelo, la presenza di Maria è molto discreta, attenta a non suscitare una grande impressione esteriore. Ma qualsiasi cosa ella faccia ha un grande significato interiore. Maria parlò con calma a suo Figlio, che dapprima si mostrò riluttante ad agire, poiché la Sua ora non era ancora giunta. In effetti, Gesù normalmente si asteneva dal dire o dal fare qualsiasi cosa, a meno che il momento e il luogo non fossero adatti al Suo disegno. Ma allora, e solo allora, quando Gesù sembrò rifiutarsi di fare qualcosa che Maria Gli aveva chiesto, Egli fece invece qualcosa che confuta quello che in tanti, così spesso e così a torto, hanno letto nella sua risposta a Maria: “Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora.” Una tale risposta chiaramente non era un rifiuto, non significava che Gesù opponesse un rifiuto a Maria. Che Maria non avesse preso la cosa in tal senso, è chiaro dalle sue parole ai servitori: “Fate quello che vi dirà”.

          Gesù era un grande stratega. Venne con la strategia più grande che si potesse concepire, che mirava a renderci coscienti del fatto che in lui il Messia era veramente arrivato. Faceva parte di quella strategia anche la sua intenzione di rivelare il ruolo enorme svolto dalla donna, conosciuta come Maria, nella sua vita e quindi, in seguito, nell’intera storia della salvezza. Ella non divenne solo la donna più nota della storia dell’umanità, un fatto adeguatamente riassunto nel titolo di un libro scritto qualche decennio fa: “Sola nel suo sesso.” Non c’è da meravigliarsi. Come nel resto della storia della salvezza, Maria rivestì anche qui un ruolo chiave. L’intera storia della cristianità mostra che laddove Maria è venerata, la fede nella divinità di Gesù rimane forte, mentre nei luoghi in cui quella venerazione si è estinta, fin troppo spesso è venuta meno anche la fede nella divinità di Gesù.

          Quella fede è sostenuta dai miracoli di Gesù, che ebbero inizio a Cana e per iniziativa di Maria. Maria conosceva il tipo di potenza divina nascosto in suo Figlio. Egli aveva preso carne nel suo grembo senza intervento di uomo. Appena nato aveva attratto tre saggi venuti dall’Oriente. Infante, era riuscito a sfuggire a Erode. A dodici anni istruiva gli Anziani nel Tempio, rimanendo tuttavia obbediente a Maria e Giuseppe, mentre cresceva in saggezza, conoscenza e grazia, davanti a Dio e agli uomini.

          Altri particolari nel racconto delle nozze di Cana fatto da Giovanni sono non meno istruttivi. Il matrimonio ebbe luogo esattamente tre giorni dopo il battesimo di Gesù nel Giordano. Il giorno dopo, Gesù aveva reclutato Simone, figlio di Giona, assieme ad Andrea e Giovanni, come suoi primi apostoli. Gesù dichiarò proprio in quell’occasione che Simone si sarebbe chiamato “roccia” o Pietro. Su quella roccia Gesù avrebbe edificato la sua chiesa, contro la quale le porte degli inferi non avrebbero prevalso. In duemila anni si sono viste molte dimostrazioni in questo senso, nonostante il fatto, per menzionare un solo esempio, che Churchill e Roosevelt siano ammutoliti quando Stalin chiese loro qual era il numero delle divisioni del Papa. Un altro Papa ha dato un grande contributo (senza utilizzare neppure una divisione) alla disgregazione di quell’impero del male.

          Nel mattino del secondo giorno della sua missione pubblica, mentre Gesù stava recandosi a Cana in Galilea, dove era invitato ad un matrimonio, vide Filippo e lo reclutò come suo apostolo dicendogli: “Seguimi.” Con l’entusiasmo del neofita, Filippo voleva portare con sé il suo amico Natanaele, che, invero, era riluttante: “Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?” egli chiese a Filippo, sottintendendo che Nazareth, un posto dimenticato da Dio, difficilmente avrebbe potuto essere il luogo natale del Messia. Anch’egli fece tuttavia il breve viaggio per vedere Gesù.

          Incontrando Gesù, Natanaele comprese rapidamente che il Rabbì di Nazareth aveva occhi che vedevano attraverso siepi e alberi, monti e valli, ogni genere di schermo, ogni tipo di dissimulazione. Natanaele poteva solo rimanere stupefatto quando Gesù gli disse di averlo visto seduto sotto un fico, che non poteva essere visto dal luogo dove Gesù stava, forse perché quell’albero si trovava proprio dietro una collina nei pressi. Natanaele rimase spiazzato ed esclamò: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!” Ma Gesù lo tranquillizzò: “Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!”. Poi si rivolse ancora al suo piccolo gruppo di apostoli: “In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.

          A sentire ciò, Natanaele e gli altri potevano pensare solo a una cosa: alla visione del patriarca Giacobbe, nella quale una scala saliva dalla terra al cielo e gli angeli salivano e scendevano su di essa. Senza dubbio essi ricamarono nelle loro menti su questa visione, mentre dalle rive del Giordano si dirigevano verso Cana, un cammino di circa due giorni. Nel corso di un simile viaggio era possibile almanaccare senza fine su cosa intendesse Gesù con “il cielo aperto”, ma non v’era alcun dubbio fra loro che, se fossero rimasti con Gesù, sarebbero stati parte di qualcosa di veramente grandioso.

          Anche se un paesino sperduto come Cana potesse non sembrare lo scenario adatto per un evento così grandioso, ci sarebbe stato in Cana un matrimonio, alla cui possibile grandiosità si poteva prontamente associare qualcosa di realmente godibile. Ma per quanto piacevole potesse essere il pensiero del banchetto nuziale, si può tranquillamente supporre che la preoccupazione principale di Natanaele e degli altri era di capire come assicurare a se stessi lo scalino più alto possibile su una scala che saliva al cielo. Noi sappiamo che, come gli Ebrei del tempo, Natanaele e gli altri aspettavano una gloria terrena associata con la venuta del Messia. Essi non riuscivano quasi a pensare a quale fosse il significato profondo della visione di Giacobbe e quale veramente fosse la natura di quel cielo che Giacobbe vide aprirsi.

          Giacobbe poté almeno intuire dalla sua visione che la sua vita sulla terra sarebbe stata spesa per un destino più alto, ovvero che i suoi discendenti avrebbero potuto servire, con la loro storia, da preparazione per la venuta del Messia. Ma Giacobbe non poteva sapere che fra i suoi discendenti sarebbe stato annoverato anche qualcuno che non discendeva corporalmente da lui.

          Gesù venne precisamente per convincere ogni uomo riguardo al destino più alto della vita umana, un destino che non dipendeva dalla razza o dalla nazione a cui ognuno apparteneva. Tuttavia Gesù conservò la centralità della discendenza corporale, Egli stesso divenne uomo attraverso una donna. Non meraviglia dunque che Gesù abbia iniziato la sua missione pubblica partecipando a un matrimonio. Non scelse una riunione di un’Accademia Scientifica per la sua prima apparizione pubblica. Altrimenti Gesù avrebbe scelto di diventare uomo ad Atene, e non a Nazareth, dove in tutta probabilità non c’era neppure una scuola elementare. Gesù non scelse come scena per la sua prima apparizione pubblica l’apertura solenne di un Parlamento perché, a dispetto di tutta la sua importanza, un simile evento è affare solo di relativamente pochi. Gesù non andò nel quartier generale delle Nazioni Unite, perché questa è solo sovrastruttura. Senza persone non ci sono nazioni, né unite né separate. Gesù voleva salvare l’umanità conquistando ogni singola persona. Quindi Egli si recò a delle nozze così comuni da poter avvenire in un villaggio qualsiasi, come Cana. Anche se Gesù è venuto per salvare tutti gli uomini, Egli era consapevole che niente è così vicino al cuore dell’uomo come un matrimonio, non importa dove venga celebrato.

          Infatti il destino umano di propagare l’umanità non è visibile mai in maniera più chiara che in un matrimonio. Lo sposalizio, ossia il momento in cui si contrae il matrimonio, è l’occasione nella quale un uomo e una donna si impegnano ad accettare di essere a servizio di un vincolo. La parola “vincolo” esprime molto bene la natura di quell’impegno. Il vincolo è un’obbligazione che lega una persona e la impegna nella maniera più seria.

          La vita è inseparabile da quel vincolo e dall’impegno a servire quel vincolo senza riserve e a prescindere dal fatto che la cosa sia piacevole o meno. Se si cerca il piacere in un servizio, non c’è dubbio che prima o poi il servizio diventa insopportabile. Lo stesso vale per il vincolo matrimoniale. È proprio questo il punto che Gesù voleva evidenziare apparendo alle nozze di Cana. Con la sua presenza egli dette un’impronta di serietà a un’occasione che sarebbe stata altrimenti di sola spensieratezza. Da allora le nozze o il matrimonio sono diventati un impegno al servizio del destino più alto della vita, assicurando la continuazione della razza umana.

          Ogni servizio ha dei mezzi appropriati attraverso cui può essere svolto. Nel caso del matrimonio il mezzo è chiamato grazia, il dono soprannaturale di Dio all’uomo. Questo dono ha i sacramenti come suo canale.

          Il matrimonio è un sacramento, o un segno esteriore, che comunica una realtà interiore. Qui il segno è la dichiarazione solenne di due esseri umani che impegnano se stessi nell’amore a servirsi l’un l’altro finché morte non li separi. Questa dichiarazione è un segno esteriore che comunica la grazia interiore del sacramento del matrimonio.

          Il sacramento del matrimonio è quindi molto speciale fra tutti i sacramenti. Nessuno può battezzarsi da solo. Nessuno, similmente, può cresimarsi da solo. Nessuno può confessarsi da solo. Nessuno può amministrarsi da solo l’estrema unzione. Nessuno può ordinarsi sacerdote. Perfino il sacerdote, strettamente parlando, può offrire la messa solo in nome della Chiesa e non in nome proprio.

          Ma il sacramento del matrimonio è amministrato dai due sposi attraverso la loro dichiarazione. Essi, comunque, rendono quella dichiarazione alla presenza di un sacerdote, il rappresentante ufficiale della Chiesa. È in questo modo che Cristo fa comprendere loro che Egli vuole onorare con la sua presenza ogni matrimonio cristiano.

          Il matrimonio è un sacramento perché Gesù è presente alla sua amministrazione, proprio come Egli è presente quando viene amministrato ogni altro sacramento. La grazia che Egli dà è quella propria di ogni sacramento. La grazia speciale del sacramento del matrimonio è il modo meraviglioso con cui ogni atto di amore matrimoniale diventa un altro gradino nella scala che si stende per tutta la durata della vita, una scala che sia per il marito che per la moglie dovrebbe raggiungere dalla terra il cielo.

          Anche se al giorno d’oggi una casa, un edificio, può essere costruito usando parti prefabbricate, non è questo il caso per la costruzione che chiamiamo matrimonio. Il matrimonio è un edificio che dovrebbe venir creato dai due interessati, e dagli atti, piccoli e grandi, del loro amore sponsale. Il matrimonio è un compito che dura per tutta la vita. Per svolgere questo compito la grazia di Dio è necessaria in ogni momento, in ogni ora, anno dopo anno. In ogni momento di ogni giorno c’è bisogno di una forma di amore che non è uno slogan, una frase, un sentimento, ma è pazienza reciproca, fiducia vicendevole e mutua accettazione di ogni prova. Per far fronte a questo, è necessario quel tipo di aiuto divino che chiamiamo grazia. La fonte di questa grazia è il sacramento del matrimonio.

          La grazia è una specie di deposito fatto da Dio, un deposito interamente gratuito, ossia immeritato. Per attingere a questo deposito non serve una carta di credito, ma la preghiera. Il deposito frutterà nella misura in cui la preghiera animerà la vita sia del marito che della moglie.

          Fa parte di questa preghiera che sia il marito che la moglie rinnovino, almeno nel pensiero, ogni giorno il loro impegno reciproco, e non solo nei giorni in cui il sole splende, ma anche nei giorni coperti dalle nubi delle prove, che abbondano in ogni matrimonio. Solo un tale rinnovo dell’impegno coniugale farà sì che la scala che si protende verso il cielo si alzi sempre più in alto, perché il numero dei suoi scalini continuerà ad aumentare.

          È questo il significato del matrimonio cristiano, simboleggiato dalla trasformazione dell’acqua in vino a Cana. Il matrimonio cristiano è un sacramento, una fonte di forza che viene dal cielo, che trasforma le prove quotidiane della vita in una benedizione, in un vino eccellente, che a differenza del vino ordinario, non perde il suo sapore e non si trasforma mai nell’aspro, amaro aceto. La forza di quel vino proviene dalle parole che Gesù pronunciò sul pane e sul vino durante l’Ultima Cena. Egli rese allora possibile che il suo proprio corpo e sangue divenissero cibo e bevanda per noi, le sole cose che ci assicurano la vita eterna.

          Questo corpo e questo sangue ci furono dati attraverso Maria. Possa Ella restare vicina a voi, [cari Maria e Gergely], allo stesso modo in cui fu al fianco di suo Figlio alle nozze di Cana, così che Egli potesse venire incontro alle necessità di quelli che erano là. Possa Maria stare al vostro fianco, con la stessa gentilezza e discrezione che usò in occasione delle nozze di Cana. Così che voi serviate l’uno alle necessità dell’altro, imparando a non pretendere, che è il segreto della vera felicità.

          Naturalmente, la felicità di cui si parla è del tipo adatto ai piani a lungo termine, alla vita intera. E nella vita incontrerete molte situazioni in cui diverrà chiaro che solo la fede nella vita eterna è capace di dare alle azioni un significato capace di resistere in qualsiasi circostanza.

          L’amore, che si manifesta soprattutto nella pazienza e nel sacrificio, assicurerà per voi questo genere di significato. È quell’amore genuino che San Paolo ha descritto nella lettura [della liturgia nuziale, l’inno alla Carità - 1Cor 13], in modo che non vi restino dubbi sul genere di amore da avere in mente. Questo amore vi farà vedere, con lo svolgersi della vostra vita, che il cielo si aprirà sopra di voi in maniera sempre più convincente. Risplenderà nei raggi della coscienza retta, nella luce della vostra consapevolezza di aver adempiuto al compito che Dio vi ha dato, il solo che dà un significato e uno scopo all’esistenza. Allora vedrete il Figlio dell’Uomo, lo stesso che apparve un tempo al fianco di una coppia appena sposata, avvicinarsi a voi nella sua gloria. Egli si avvicinerà a voi dall’alto della scala che voi stessi avrete costruito per Lui con i vostri sacrifici quotidiani, in modo che voi possiate salire verso di Lui e da Lui essere condotti nella Sua eterna gloria.

 

(Omelia pronunciata al matrimonio di Maria Raunio e Gergely Bogányi, a Zebegény (Ungheria) il 23 giugno 2001.)